IL BLOG DI SERGIO VIVI



mercoledì 28 giugno 2006

Risultati del referendum 25 giugno 2006

I RISULTATI
Gli aventi diritto al voto erano 47.129.008 ai quali vanno aggiunti i circa 2.600.000 italiani all’estero. Totale 49.729.000.

ITALIA + ESTERO
61.862 sezioni su 61.862
votanti 52,3 % pari a 26.008.267 voti
SI 38,7 % pari a 10.065.199 voti
NO 61.3 % pari a 15.943.068 voti

ESTERO
884 sezioni su 884
votanti 27,8 % pari a circa 722.800 voti
SI 52,1 % pari a circa 376.579 voti
NO 47,9 % pari a circa 346.221 voti

AMERICA MERIDIONALE
216 sezioni su 216 - votanti 34,6 %
SI 62,9 % - NO 37,1 %

AMERICA SETTENTRIONALE E CENTRALE
90 sezioni su 90 – votanti 26,1 %
SI 52,8 % - NO 47,2 %

ASIA AFRICA OCEANIA ANTARTIDE
111 sezioni su 111 – votanti 31,7 %
SI 53,4 % - NO 46,6 %

EUROPA
467 sezioni su 467 – votanti 24,7 %
SI 45,3 % - NO 54,7 %

ITALIA SETTENTRIONALE
Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna
SI 47,4 % - NO 52,6 %

ITALIA CENTRALE
Toscana, Umbria, Marche, Lazio
SI 32,3 % - NO 67,7 %

ITALIA MERIDIONALE
Abruzzi, Molise, Campagna, Puglia, Basilicata, Calabria
SI 25,2 % - NO 74,8 %

ITALIA INSULARE
Sicilia, Sardegna
SI 29,4 % - NO 70,6 %

QUALCHE COMMENTO

E adesso la festa! Il centrosinistra esulta.
Il NO ha trionfato. L’Italia non si è spaccata in due. Il progetto populista è stato sconfitto. Una valanga di NO cancella la devolution. La Carta del ’48 è salva (un po’ ammaccata, se vogliamo, a causa della riforma del Titolo V).


La campagna del cartello del NO è stata molto efficace. Basta ricordare gli articoli di Andrea Manzella, Pietro Scoppola, Gustavo Zagrebelsky, Curzio Maltese sulla Repubblica. Anche il Corriere della Sera ha dato il suo valido contribuito. Dopo un solitario articolo di Panebianco a favore del SI, sono stati pubblicati a raffica articoli dei fautori del No, ad esempio, di Franco Bassanini e Giovanni Sartori (cosa fareste senza di noi costituzionalisti… poveri gattini ciechi!) che hanno toccato tutti i tasti possibili per convincere al NO, fino al Verfassungspatriotismus, il patriottismo della Costituzione, proclamato in Germania dal filosofo Habermas e riproposto agli elettori italiani da Claudio Magris (e naturalmente la Milano che legge il Corriere ha votato NO).


Il centrodestra ha sperato di vincere. Nell’Unione erano preoccupati. Avevano una maledetta paura di perdere. Bastava leggere, ad esempio, cosa scrivevano alla vigilia dalle parti di margo, il blog della Margherita, oppure da quelle di diamoci del tu, il blog di Rifondazione.

Il fatto che la propaganda incentrata sulla diminuzione del numero dei parlamentari preoccupasse quelli del NO dimostra ancora una volta quale considerazione nutrissero certi cattolici e certi comunisti degli elettori italiani. Salvo sorprendersi, soltanto dopo, del loro saggio comportamento.

Le costituzioni non le hanno mai fatte i costituzionalisti. Le costituzioni le fanno anche gli elettori che, rozzamente, hanno votato SI, con l’intenzione di cambiare le cose in meglio.

Io ho votato rozzamente SI per riunire l’Italia, perché, purtroppo, il nostro Paese è da molto tempo che è spaccato in due. Guardate questa tabella pubblicata proprio nel giorno del referendum sulla Repubblica

Qualcuno dovrebbe spiegare come mai una legge nazionale che prevede aliquote che vanno dal 4 al 7 per mille produca l’effetto che a Bologna si paghi mediamente 25 volte di più che a Lecce. Dobbiamo pensare che se le famiglie in quella città hanno un reddito di 2.000 euro mensili, le famiglie di Bologna ne hanno uno di 50.000? Oppure che se al Sud vivono, mediamente, in appartamenti di 75 mq, al Nord si posseggono, mediamente, appartamenti da 1000 mq? Inutile chiederlo al sindaco oligarca, ma il nuovo ministro della Famiglia dovrebbe prendere a cuore la faccenda.

Io ho votato rozzamente SI perché le casse dello stato sono vuote.
Il governo Prodi ha fatto effettuare una scrupolosa rettifica (la due diligence) e ha scoperto che c’è un buco enorme (come c’era del resto nel 2001 alla formazione del governo Berlusconi). Stavolta però sarebbe molto più grande. Negli anni ‘80 e ’90, quando a un governo DC succedeva un governo DC e poi un altro governo DC sui buchi di bilancio si sorvolava, si emettevano Bot, Cct ecc e il debito pubblico lievitava. Quando una famiglia spende di più di quello che guadagna, è inevitabile che si indebiti.

I buchi continueranno ad esserci fin tanto che non si faranno riforme strutturali.
Qualsiasi governo, nel denunciare l’esistenza del “buco”, dovrebbe anche spiegare quali sono le spese del governo precedente che esso non avrebbe fatto. I cittadini hanno il diritto di sapere in che modo, quando e dove e per quali ragioni sono stati fatti i debiti. E’ un segreto di stato oppure è omertà tra politici?
Professor Sartori a chi possiamo rivolgerci?

Le entrate tributarie ammontano, ogni anno, a qualcosa come 230 miliardi di euro. Si sa che una grossa fetta di questi soldi finiscono alle mafie variamente denominate. Si sa che un’altra bella fetta è spesa per «quella corte di miracoli fatta di “dipendenti e consulenti” che vive attorno alla politica e che costa allo Stato poco meno di un miliardo di euro l’anno: la metà delle spese complessive per la politica» (Cesare Salvi e Massimo Villone).

Hai voglia fare la lotta all’evasione fiscale!

Soltanto il federalismo fiscale, chiudendo i rubinetti del finanziamento dello stato centrale, potrà essere l’antidoto risolutivo contro le mafie di tutti i generi.


venerdì 16 giugno 2006

Consorte e Sacchetti

La notizia del giorno:
«A Consorte e Sacchetti sequestrati 43 milioni»
A D'Alema l'ha comunicato, con dolcezza, Rice.


martedì 6 giugno 2006

Referendum 25 giugno 2006

L’immaginazione al potere!

Si dice che la Costituzione Italiana è una delle più belle del mondo.
Tuttavia essa non sembra più essere adatta ai tempi che corrono tanto che è stata oggetto, nell’arco degli ultimi cinque anni, di ben due riforme.

La prima del 2001, riguardante il Titolo V, per opera della maggioranza di centrosinistra e già approvata con apposito referendum confermativo.

La seconda del 2005 per opera della maggioranza di centrodestra, per la quale sono stati convocati per i giorni di domenica 25 giugno e lunedì 26 giugno 2006, i comizi per lo svolgimento del referendum costituzionale confermativo sul seguente quesito:
"Approvate il testo della legge costituzionale concernente "Modifiche alla Parte II della Costituzione" approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 269 del 18 novembre 2005?"
A differenza di quello abrogativo, il referendum confermativo non prevede il quorum, perciò la consultazione è valida qualunque sia l’affluenza alle urne e le risposte che contano sono solo il SI e il NO.

Per farsi un’idea della posta in gioco, segnalo due articoli, usciti sul Corriere della Sera (1 giugno 2006), che sostengono, il primo, le ragioni del SI di
Angelo Panebianco e, il secondo, le ragioni del NO di Michele Salvati.

Numerosi eminenti costituzionalisti hanno criticato entrambe le riforme ma, al tempo stesso, ritengono che la Costituzione del ’48 debba essere migliorata e corretta.

Augusto Barbera e Stefano Ceccanti, con l’adesione di altre più o meno autorevoli firme, hanno lanciato un appello per il «NO riformatore», con l’intento di abolire la riforma del centrodestra e, subito dopo, realizzare una «vera riforma».
Sull’altro versante l’ex ministro Tremonti, seguito a ruota da Umberto Bossi, hanno rilanciato invitando a votare SI, per procedere, poi, di comune accordo con l’Unione, alle opportune modifiche. Che fantasia!
Come si farà a distinguere e a contare i voti “senza se e senza ma” da quelli “riformatori”, Dio solo lo sa.

Queste premesse per fare una riflessione sull’altro tema all’ordine del giorno: la nascita del partito democratico. E’ stato detto che se il nuovo partito non vuole (e non deve) essere la semplice fusione tra le due componenti maggioritarie dell’Ulivo, DS e Margherita, ma vuole essere “inclusivo”, aperto cioè anche a parte di coloro che non hanno votato per l’Unione, occorre dare un segno di forte discontinuità rispetto al passato.

Non sarebbe stato meglio, allora, se, con un po’ più d’immaginazione e di coraggio, Barbera e Ceccanti avessero inventato e proposto un bel “SI democratico”?
Bossi e Tremonti avrebbero potuto rilanciare con un “NO riformatore”.
Gli elettori (in particolare quelli iscritti ai partiti) avrebbero avuto motivo di riflettere, oltre che sulle ragioni di Panebianco e di Salvati, anche sui concetti di “identità” e di “appartenenza”.

Ecco qui il testo delle modifiche alla parte II della Costituzione, soggette a referendum.
Qui, invece, le modifiche al Titolo V, apportate dal centrosinistra nel 2001.
Update ore 22,30







Per quanto mi riguarda voterò un SI. Tranquilli, però. Il mio non sarà un SI "senza se e senza ma", ma un SI pragmatico, alla stregua di coloro che voteranno il NO riformatore.
Gli italiani meritano un Parlamento con un numero ridotto di parlamentari.
Dopo il voto vorrei anche che fosse riformato l’articolo 114 (così come formulato in entrambe le riforme): «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato».
Ben cinque livelli di governo. Troppi!
E’ ora di abolire le Province.

UPDATE del 15 giugno 2006

Il professor Andrea Manzella ha elencato in un interessante articolo 10 ragioni che convincono al NO.
(Dieci no alla Grande Riforma del Polo, la Repubblica, 12 giugno2006 – non sono in grado di linkare l’articolo, perché ai servizi del giornale ci si deve abbonare. )
Senza la pretesa di controbattere alle tesi esposte dall’illustre costituzionalista (non posseggo tanta dottrina), cercherò, tuttavia, di fare un paio di commenti da uomo della strada o, se preferite, da avventore di bar.

«Questa riforma, come tutti i tentativi che negli anni l’hanno preceduta, è figlia di un’idea sbagliata: il mito della Grande Riforma Costituzionale… l’unica vera riforma l’hanno fatta gli elettori con il referendum del 1993… hanno cambiato la legge elettorale (in senso maggioritario)… Naturalmente restava e resta tutta un’opera costituzionale consequenziale da fare: meccanismi da adeguare, logiche istituzionali da sviluppare, garanzie da costruire o rafforzare».

Avendo capito che si deve alla penna del professor Manzella la stesura di pagina 9 delle 281 del programma, la domanda è sempre la stessa: ma perché il centrosinistra non ha fatto quest’opera quando era al governo? Tutti bravi dopo, ma durante? Ci troviamo invece -figlia di una idea altrettanto sbagliata- con la realtà della Piccola Riforma del Capitolo V.
Che garanzie può dare il Professor Manzella che dopo l’eventuale vittoria del No l’attuale parlamento si metterà all’opera per migliorare le due “porcate”?
(Che garanzie hanno gli elettori che, «dopo la pletorica abbuffata di viceministri e sottosegretari compiuta dal Prodi bis» il centrosinistra sarà in grado di diminuire il numero dei parlamentari?)

Personalmente, la riforma della Costituzione la voglio. Non tanto per dare una “spallata” a un governo folkloristico (i castelli di carte cadono solo a guardarli), ma per ottenere:
il rafforzamento dei poteri del premier, la fine del bicameralismo perfetto, un federalismo che mi permetta di pagare il grosso delle tasse al mio comune, una riduzione dei costi della politica con la riduzione del numero dei parlamentari e con la soppressione delle province. (Cinque livelli di governo sono troppi. Ricordo Peter F. Drucker che ne «Il potere dei dirigenti» scriveva:«non meno importante è l’esigenza che una struttura organizzativa sia articolata nel minor numero possibile di livelli direttivi» e faceva l’esempio della Chiesa cattolica:«Esiste un solo livello organizzativo tra il Papa e il più umile dei parroci: il vescovo».)

«”No” perché si deve fermare il tentativo di cambiare oltre un terzo della Costituzione con una prepotenza di metodo… Così fu, nonostante i clamori e le autocritiche, anche per il famoso Titolo V… Si cambiò allora solo… 5 articoli su 139».

Beh! Sono andato a contarli: furono cambiati 9 articoli e altri 6 furono quelli abrogati: in totale 15 articoli. Non mi pare che cambiare un nono della Costituzione si possa considerare una «modifica puntuale e parziale».

D’altra parte, entrambe le riforme furono approvate da parlamenti legittimi, con procedure corrette ed emanate con la firma del Presidente della Repubblica . Penso che gli elettori debbano privilegiare più il merito che il metodo.

Ribadisco il mio SI pragmatico. Chi vuole la riforma deve fare in modo che anche il parlamento la voglia. Solo se prevarranno i SI, il centrosinistra, che detiene la maggioranza, sarà costretto a prendere l’iniziativa.

UPDATE del 16 giugno 2006

Secondo i politically correct anche ieri Bossi ha dato di matto. Il Senatur lo ha sempre fatto fin da quando è nata la Lega e, tutte le volte, i conservatori di ogni risma a dire: «ma è una cosa ignobile, vuole spaccare l’Italia» (poi, però, gli è stato riconosciuto il merito di avere introdotto il discorso sul federalismo e, dopo le ultime elezioni, si è ammesso che esiste una questione del Nord che sarebbe bene non trascurare).

E oggi, come il solito, è stato uno spasso leggere il pezzo di Curzio Maltese (Il referendum in salsa padana, la Repubblica, 16 giugno 2006), che, dopo avere rimesso nell’armadio la costola della sinistra, descrive la Lega tout court come fascismo residuale. Cosa c’è di meglio che criminalizzare la Lega per cercare di esorcizzare la questione del Nord e per cercare di fare dimenticare la sostanza del referendum. Del resto l’azzeramento quotidiano della nostra memoria è un fenomeno che Maltese ha riconosciuto più volte:

«D’accordo che il principale compito di politici e media consiste nell’azzerare ogni mattina la memoria dei cittadini»
(Curzio Maltese, Contromano, Il venerdì di Repubblica, 8 maggio 1998)

«Il guaio di quest’epoca troppo veloce è l’aver elaborato un pensiero lento e superficiale. L’elettroshock quotidiano dell’informazione azzera ogni mattina la memoria e permette di riciclare a intervalli regolari vecchi pregiudizi con la veste di idee nuove e brillanti».
(Curzio Maltese, Contromano, Il venerdì di Repubblica n°943,14 aprile 2006)

Per cui, tanto di cappello al magistrale pezzo di satira, ma votiamo SI.

* * * * * * * * *
Avevo messo qui il link a una lettera, al Corriere del 16 giugno, nella quale Mario Segni spiegava il suo NO alla riforma e alla risposta di Sergio Romano che ribatteva con il SI. Sorry, non era un link permanente.
Contrordine,: l'ho ritrovato

UPDATE 23 giugno 2006

Per convincere a votare NO, si sono toccati tutti i tasti possibili.
Giovedì 22 giugno, sulla Repubblica, il Professor Pietro Scoppola è ricorso alle Radici profonde della Costituzione di cui sottolinea tre aspetti. Il rapporto resistenza-costituzione. L’inserimento dell’Italia nella tradizione più solida del costituzionalismo europeo, che la nostra Carta arricchisce con la forte impronta sociale fondata sul principio di eguaglianza fissato nell’articolo 3. La saldatura in Italia fra Chiesa cattolica e democrazia (articolo 7).

Un dotto articolo per concludere che «la costituzione è un bene non disponibile per qualsiasi operazione di scambio politico. Lo scempio che è stato fatto della Costituzione sarebbe stato impossibile se nel profondo della coscienza popolare fosse radicato quel “patriottismo della Costituzione” nel quale si esprime oggi nei Paesi democratici più maturi il senso stesso della cittadinanza».
Si può concordare facendo, però, notare che le Radici Profonde non sono messe in pericolo dall’eventuale vittoria del SI, perché si trovano nei Principi Fondamentali e nella Parte Prima della Costituzione che la riforma non ha toccato e che rimarranno qualunque sia l’esito del referendum.


Un altro che crede di avere la bacchetta magica è Beppe Grillo: «voterò no al referendum, ma subito dopo avvierò un dibattito su questo blog sulla costituzione». Anche lui chiede una drastica ed immediata riduzione del numero dei parlamentari e la soppressione delle province. E ancora:« Siamo un Paese mummificato dalla macchina dello Stato e senza la certezza del diritto. La costituzione è in parte causa di questo osceno risultato. Va cambiata, ma in meglio

Conclusioni

Il centrodestra invita a votare SI, il centrosinistra a votare NO, anche la maggioranza dei costituzionalisti sono per il NO.
Posso capire i costituzionalisti, a patto che abbiano votato NO anche in occasione del referendum confermativo del Titolo V. Non mi convincono e NON MI FIDO degli esponenti del centrosinistra, quando dicono che dopo la vittoria del NO, migliorerebbero la Costituzione d’accordo col centrodestra.

Prima di tutto perché sono stati loro a cominciare a rompere il “giocattolo” cambiando NOVE articoli (e non soltanto cinque come ha scritto il Professor Manzella sulla Repubblica) e abrogandone 6, in totale 15, UN NONO della Costituzione: non proprio una modifica puntuale e parziale.
In secondo luogo -a prescindere dal fatto che nell’Unione non vanno d’accordo su nulla, dalla politica estera ai temi etici- quelli dell’Ulivo, dopo anni che ne parlano (mi dispiace per il Professor Salvati) non sono ancora riusciti a fondare il Partito Democratico: figuriamoci se riescono a mettersi d’accordo su un’impresa molto più grande come la Riforma della Costituzione.

Con il mio SI, non intendo dare un giudizio sulla riforma che è scontato (entrambe le riforme, del Titolo V e della Parte Seconda, sono delle “porcate”) ma, molto pragmaticamente usando anch’io una prepotenza di metodo (ammesso che il voto lo sia), finire di rompere il “giocattolo”, se non altro per una questione di par condicio. Al Parlamento il compito di procurarmene uno nuovo, sia che si usi il metodo dell’articolo 138, sia che si preferisca ricorrere allo strumento di un’apposita assemblea costituente. Non capisco perché il Professor Sartori (che giustamente, a rigore di dottrina, in questi anni non ha mai approvato nessuna legge elettorale e nessuna riforma) non si renda conto che il punto per i cittadini è quello di ottenere una riforma della costituzione adeguata ai tempi. Soprattutto in senso federalista.

Io voterò SI. Molti voteranno SI. Magari fossimo la maggioranza.


giovedì 1 giugno 2006

L'astensionismo e le percentuali

«La gente è stanca, e ha snobbato queste consultazioni. L'astensionismo è aumentato nettamente non solo rispetto alle politiche, ma anche rispetto alle amministrative precedenti.Anche qui, per dire «abbiamo vinto, hanno perso» ci vuole una buona dose di fantasia. Gli elettori si sono ben guardati dal «dare lo sfratto» al governo Prodi, come speravano i più assatanati fra i berluscones. L'Unione, per parte sua, non ha ricevuto alcuna conferma o investitura. Con un numero di votanti basso come quello registrato in questa tornata amministrativa, è praticamente impossibile stabilire se - rispetto alle politiche - sia andato avanti il centro-destra oppure il centro-sinistra.
. . . . .
L'impennata dell'astensionismo segnala anche questo: la gente ha perso la fiducia in Berlusconi, ma non l'ha ancora riposta in Prodi».
(Luca Ricolfi, La Stampa, 31 maggio 2006)

Un metodo per giudicare meglio chi è andato avanti e chi indietro ci sarebbe.
E’ singolare che Ricolfi non lo noti.
Basterebbe smettere di confrontare le percentuali ed analizzare, invece, i numeri dei voti.

Negli anni ’50 e ’60, tre quattro giorni dopo ogni tornata elettorale, i giornali pubblicavano delle tavole riassuntive con il numero dei voti raccolti da ogni partito, il numero degli aventi diritto, il numero dei voti espressi, delle schede bianche, delle schede nulle. Di fianco, ma solo di fianco, c’era una colonnina con le percentuali.
Da anni, ormai, anche i quotidiani che si proclamano indipendenti sono integrati nel sistema e parlano solo di percentuali. Fanno a gara con i politici nel disinformare i cittadini.


Facciamo un esempio
Consideriamo che in una cittadina di 125.000 abitanti si siano verificati i seguenti risultati:

alle elezioni politiche del 9-10 aprile 2006:
voti validi espressi 100.000 (80% degli aventi diritto)
52.000 per la coalizione A (52,00% dei voti validi)
48.000 per la coalizione B (48,00% dei voti validi)

alle elezioni amministrative del 28-29 maggio 2006:
voti validi espressi 85.000 (68% degli aventi diritto)
48.000 per la coalizione A (56,47% dei voti validi)
37.000 per la coalizione B (43,53% dei voti validi)

Le percentuali permettono di esagerare i giudizi.
Un’avanzata strepitosa per la coalizione A: PIU’ 4,47%
Un risultato disastroso per la coalizione B: quasi il 13% in MENO rispetto alla coalizione A.
In realtà, tutte e due le coalizioni hanno perso voti rispetto alle politiche.
Alle amministrative, alla coalizione A viene a mancare l’apporto del partito del Non-voto-A, meno numeroso del partito del Non-voto-B che viene a mancare alla coalizione B.


 

Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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