IL BLOG DI SERGIO VIVI



sabato 23 gennaio 2010

Divani e poltrone

I “montatori esterni”, specialmente a Bologna, capitale delle macchine automatiche di confezionamento (in linguaggio ricercato packaging), hanno sempre fatto parte dell’aristocrazia della classe lavoratrice (è opportuno ricordare "La chiave a stella" di Primo Levi).
Mi è capitato spesso di andare in trasferta assieme a qualcuno di loro.


Ricordo quel periodo in cui si dovevano collaudare ed avviare delle confezionatrici di biscotti, dalle parti del Circeo.
I biscotti lunghi, stretti e sottili uscivano dal forno adagiati su un nastro trasportatore. Giunti all’ingresso della confezionatrice, erano fatti cadere (il dislivello era di un paio di centimetri) sul nastro della macchina (leggermente meno veloce di quello del forno) in modo che si mettessero dritti e si addossassero tra loro, per essere impacchettati in due gruppi di dodici. L’operazione era garantita dal contrasto con una levetta metallica che li lambiva superiormente.
Purtroppo, a dispetto delle prove -positive- fatte in fabbrica, quella levetta non ne voleva sapere di funzionare: sembrava andare bene per qualche minuto poi, tac, i biscotti si rovesciavano.

Il bravo Divani (questo il soprannome, dato al montatore incaricato del collaudo, per la sua predilezione per quei comodi giacigli) fece vari tentativi, si fece inviare nuovi disegni di levette, ne costruì egli stesso, ma sempre senza successo.
Le cose si fermarono per un paio di giorni, fin tanto che, una mattina, a Divani, gli s’accese la classica lampadina. Si procurò un pezzetto di catena per biciclette, la sostituì alla levetta e, in meno che non si dica, togliendo un anello, togliendone tre, il meccanismo prese a funzionare che era una meraviglia.

Fu così possibile avviare un impianto programmato per funzionare 24 ore continue, su tre turni, dal lunedì mattina alle sei fino alla stessa ora del sabato. Ed evitare che le macchine (alcuni miliardi di lire) fossero protestate, con le inevitabili penali.

Proprio perché coscienti di questa loro indispensabilità, i montatori si sono sempre presi qualche piccola libertà.
Nel caso specifico, Divani, che si era appena sposato, aveva portato con sé la moglie per qualche giorno. La camera costava uguale. Per il mangiare, con una buona mancia, si chiedeva al cameriere di scrivere tre coperti invece di quattro. Male che andasse, con l’interessata mediazione del direttore dell’assistenza clienti, un accordo con l’ufficio del personale, si trovava sempre. Più complicato e contrastato il rimborso a piè di lista quando a Divani capitava di andare in trasferta in Giappone. A cena (ed anche a pranzo nei festivi), a tutela della sua salute psichica, Divani ordinava sempre una bottiglia di vino. Avete idea di quanto costa a Yokohama il vino?

Questo potere discrezionale –possibile nel privato- nel settore pubblico non è concesso. Fatti del genere diventano abuso d’ufficio, peculato e truffa aggravata. Purtroppo non sempre si riesce a reprimere i propri sensi. Per queste ragioni è sempre meglio lavorare nel settore privato, se si può. Però, cavolo, con quello che ti pagano, a certi livelli, nel pubblico, dove magari puoi anche trovare la poltrona per la fidanzata, per l’amico e per la moglie di questi, perché dovresti rinunciare?
Tanto più, se non ti devi ingegnare ad inventare la catena drizza-biscotti.


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Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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