IL BLOG DI SERGIO VIVI



martedì 27 settembre 2011

Fatti e interpretazioni

Ha scritto Nietzsche "non ci sono fatti, solo interpretazioni”; oppongono i sostenitori del ritorno al pensiero forte “il mondo ha le sue leggi, e le fa rispettare”.
Il dibattito aperto su la Repubblica, concernente il Nuovo Realismo, induce a riflettere.

Il tunnel della Gelmini è una fantastica “interpretazione” della spesa di 45 mln sostenuta dal suo ministero in favore della Scienza.
I sessanta autobus Civis, ridotti ad arrugginirsi nei depositi dell’ATC, e la costruzione degli appositi marciapiedi che ha allietato per mesi e mesi i cittadini e i negozianti d’alcune importanti arterie cittadine, sono probabilmente tra i “fatti”, dispendiosi, che hanno indotto Standard & Poor’s a declassare il Comune di Bologna.

Adesso, il Comune potrebbe vendere alla Gelmini i Civis, più che adatti, in virtù della loro guida ottica, a percorrere il tunnel perfettamente rettilineo da Ginevra al Gran Sasso.
C’è un però. I neutrini, pur disobbedendo alla formula di Einstein, sanno che lo spazio è curvo, i Civis lo ignorano.
Sappiamo che la guida ottica di questi autobus, come le prove su strada hanno dimostrato, raddrizza “di default” le curve sia sul piano orizzontale, sia su quello verticale. Potrebbe, pertanto, capitare che, a causa dell’impercettibile curvatura dello spazio, un convoglio di Civis, partendo per la tangente, fuoriesca da sotto terra all’inizio di Via Rizzoli -magari davanti al posto dove sorgevano le Gocce di Guazzaloca- decolli come un aereo e, proseguendo il suo tragitto per inerzia, vada a schiantarsi contro la torre degli Asinelli, provocandone il crollo, assieme a quello della Garisenda.
Andrebbe irrimediabilmente perduto uno dei simboli più cari alla sinistra ed ai cittadini bolognesi. 


lunedì 26 settembre 2011

Perchè i partiti non si tolgono dalle sc| |hede?

Rileggiamo alcuni articoli e commi della Costituzione

L’art.49: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale ».

L’art.56: «…Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.»

L’art.58: «…Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno.»

L’art.67: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato.»

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Dal punto di vista giuridico, i partiti politici in Italia sono organizzazioni private che si configurano come associazioni non riconosciute e godono quindi dell’ampia libertà d’azione che è prevista dal codice civile per queste associazioni. Non sono persone giuridiche e pertanto non sono sottoposti ai controlli statali che il codice civile prevede per tali enti.
«L’attività dei partiti acquista rilevanza pubblica, dal punto di vista giuridico, in due momenti: a) quando essi depositano, presso il Ministero dell’Interno, le liste dei candidati e i contrassegni di lista per le elezioni; b) quando formano i gruppi parlamentari.»
Si tratta, però, d’adempimenti burocratici richiesti dai regolamenti in vigore. Regolamenti che possono essere cambiati, in ogni momento, da qualsiasi calderoli.

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La Costituzione parla chiaro: al Parlamento sono eleggibili “gli elettori”, non “i partiti”.
I secondi dovrebbero avere il ruolo di duplice figura, prima come “organizzatori del consenso” e poi di "ponte" fra popolo, Camere e Governo. In effetti, i partiti si sono impossessati del Parlamento.

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Già nella prima metà degli anni Cinquanta il professor Giuseppe Maranini conia l'espressione "partitocrazia" e afferma, in un articolo del 1952, che «la forma di governo creata dalla nostra Costituzione così come da altre costituzioni continentali, approda ad una forma esplicita di partitocrazia, e non di governo parlamentare. La nostra Costituzione vieta ogni mandato imperativo, che leghi il rappresentante alla volontà degli elettori; ma allo stesso tempo la Costituzione e le leggi elettorali creano i presupposti di un ben più temibile mandato imperativo, il quale subordina gli eletti ai loro veri committenti, i quali non sono più gli elettori bensì le direzioni dei partiti. Il Parlamento controlla il Governo ma le direzioni di partito controllano il Parlamento e, attraverso il Parlamento, il Governo; se poi direzione di partito e governo s'identificano, il controllato diventa controllore, con evidente eversione di ogni schema di governo parlamentare.»

Più di mezzo secolo fa il professor Maranini aveva lucidamente previsto come sarebbe andata a finire (e oggi non si stupirebbe più di tanto).
In oltre mezzo secolo, il Parlamento non ha mai approvato una legge di regolamentazione giuridica dei partiti.
«L'articolo 49 della Costituzione italiana, con la sua generica formulazione segnerà una parziale sconfitta di chi aveva avvertito l'esigenza di una disciplina più puntuale. La Carta repubblicana del 1947, infatti, sembra configurare il "metodo democratico" più come una regola di condotta nelle relazioni fra i partiti che come un principio generale che valga anche al loro interno. Fenomeni come il cd. "centralismo democratico" dimostreranno come nessuna norma giuridica abbia mai permesso alle minoranze interne ai partiti di far valere le proprie ragioni senza subire - in taluni casi - accuse di "frazionismo" ed espulsioni.»

Non è parso vero ai partiti italiani di approfittare di questa libertà d’azione.
Fino all’apoteosi del “porcellum”, quando il partito del predellino, quello a vocazione maggioritaria, il partito di romaladrona ed altri più piccoli hanno definitivamente usurpato la sovranità che appartiene al popolo, occupando il Parlamento con manipoli di “nominati” (…potevo fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di manipoli…). Incuranti del crollo del “ponte” che dovrebbe unire popolo e governo, anzi provocandolo essi stessi.

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Come tornare al dettato costituzionale e restituire la sovranità ai legittimi detentori?
Primo. Basterebbe cambiare i regolamenti elettorali, disponendo che non siano più i partiti a depositare le liste dei candidati, ma ciascun candidato a depositare autonomamente la propria candidatura.
Che potesse farlo qualsiasi elettore indipendentemente dall’associazione ad un partito.
Senza necessità di raccogliere firme.
Unico adempimento: il versamento di una tassa (regolata per legge) a fondo perduto, per ridurre le candidature velleitarie.
Secondo. Basterebbe abolire il deposito dei contrassegni di lista.

Ci sarebbe un’unica piccola scheda elettorale –uguale in tutto il territorio nazionale- contenente cinque righe sulle quali scrivere da uno a cinque nomi dei candidati che s’intendono votare, tratti dalle liste dei nomi depositati.
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Soltanto una volta eletti, i deputati (o senatori) dovranno aderire ad un gruppo parlamentare, che potrà assumere qualsiasi nome (del partito che li ha sostenuti, della coalizione di partiti; o anche gruppo della mucca assassina od altro).
Più semplice di così!

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Naturalmente i partiti continuerebbero ad esercitare la loro funzione d’organizzatori del consenso attorno ai propri programmi, a rendere pubbliche e a propagandare sul territorio le liste dei candidati che sostengono. In più ci sarebbero liste di candidati indipendenti. Soltanto che sulle schede non ci sarebbero simboli.

Obiezione: cacciati fuori della porta, i partiti rientrerebbero dalla finestra.
Per di più, sarebbe un gioco da ragazzi per i partiti organizzare le cinquine da eleggere, distribuite sul territorio.

Eh, no! Ci sarebbero delle belle differenze.
Dal punto di vista degli elettori, che –non più suggestionati da simboli, e da scritte “pinco pallino presidente”- sarebbero obbligati a pensare per scegliere almeno un nome.
Dal punto di vista degli eletti, il cui legame col partito sarebbe molto indebolito, per cui potrebbero sottrarsi più facilmente al vincolo di mandato imposto dal partito stesso.
Non c’è programma di partito sottoscritto che tenga: l’interesse della Nazione potrebbe più facilmente prevalere su quello del partito.
Per quanto riguarda “le cinquine”, è bene notare che gli iscritti ai partiti sono fortemente diminuiti rispetto ai tempi della prima repubblica; non sarebbe facile inseguire moltitudini d’elettori nelle loro case per ammaestrarli.

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Si può anche far finta di niente e continuare col porcellum o col matarellum.
Ci si deve ricordare, però, che –in internet- è nato il Movimento 5 stelle di Grillo.
Ci si deve ricordare che il numero di astenuti –nelle ultime consultazioni- si è avvicinato al 30%.
Ci si deve ricordare che prima o poi, come a Berlino, potrebbero arrivare i pirati.

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Quanto proposto potrebbe essere il tassello di Una nuova legge elettorale  


domenica 25 settembre 2011

Evasione

Titolo su sei colonne [Repubblica-Bologna di ieri 24settembre] di un servizio che informa sui “furbetti” degli autobus (il 7,5%) che non pagano il biglietto:

«Atc, gli evasori costano 4,5 milioni»

Non capisco, il Comune di Bologna è amministrato da sempre dalla Sinistra.
Questa pretende d’insegnare al Governo come combattere l’evasione.
Possibile che Amministratori così capaci e così sicuri di sé non siano ancora riusciti a venire a capo di questo fenomeno?


sabato 10 settembre 2011

Un popolo e il suo doppio

Dopo un mese dalla presentazione in parlamento, rallenta ancora l’iter per l’approvazione della manovra finanziaria. Dopo il sì del Senato, in questi giorni il provvedimento è all’esame della Commissione Bilancio della Camera. Sono stati presentati 400 emendamenti. Se per disgrazia (o per fortuna -dipende dai punti di vista) uno di questi passasse, si tornerebbe all’esame di Palazzo Madama.
Sono più di sessant’anni (dall’emanazione della Costituzione) che va avanti così. Tempi biblici per l’approvazione di una legge, con conseguente abuso di decreti legge del governo stante il permanente stato d’emergenza. Ad ogni modo… tutto va ben madama la marchesa!

Siccome abbiamo la spada di Damocle dei mercati sul collo, si deve fare in fretta (che, come si è visto, è sempre una cattiva consigliera) quindi niente dibattito in Senato ma ricorso al voto di fiducia; idem alla Camera.
Nessuno ha mai pensato che, se il Parlamento fosse composto di una sola camera le cose procederebbero più velocemente, lasciando anche il tempo per uno straccio di dibattito?

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Per ridurre i costi della politica, uno dei temi più dibattuti è quello della diminuzione del numero dei parlamentari. Semplice. Perché non portare a 250 il numero dei deputati e a 250 quello dei senatori?
«Come ha di recente ricordato Sergio Romano, in Gran Bretagna la Camera dei Comuni è composta da 650 deputati, il che fissa a 70/80 mila il numero degli elettori rappresentati da ogni singolo parlamentare. Pertanto dimezzare il numero dei nostri rappresentanti crea dei mega-collegi elettorali i cui elettori sono il doppio di oggi. Il che non crea un avvicinamento, ma, semmai, un allontanamento degli elettori dagli eletti.» [Giovanni Sartori, Corriere della Sera, 8 settembre 2011]
In Italia, alle ultime elezioni politiche del 2008, gli elettori erano un po’ più di 47 milioni.
Diviso 630 fa 74.600.
Diviso 250 fa 188.000.

Che probabilità avrei di scegliere “il mio candidato” in un collegio così numeroso? Quasi zero.
Anche se fosse introdotto il maggioritario a doppio turno, considerato migliore perché l’elettore «può scegliere due volte». Se uno dei due al ballottaggio non è “il mio candidato”, mi dite che scelta è? In quel caso, sicuramente diserterei il ballottaggio.
Le cose non migliorerebbero con l’introduzione delle primarie. Queste andrebbero bene se fossero primarie aperte a tutti coloro che intendono candidarsi. Invece, finora, è capitato che quasi sempre i partiti hanno posto il cappello sui candidati.

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Gli stessi che sostengono il dimezzamento dei parlamentari affermano, a gran voce, che occorre restituire agli elettori la libertà di scegliere il proprio candidato. Per garantire questa libertà –dicono- in un sistema maggioritario, basterebbe suddividere il territorio in piccoli collegi.
Piccoli quanto: di 188.000 oppure di 74.600 oppure più piccoli ancora?
Scrive Sartori: «L'altro problema connesso a quello del dimezzamento dei parlamentari è se sia vero che tornando a un sistema elettorale maggioritario (come quasi tutta la sinistra sembra volere), la scelta dei candidati al Parlamento tornerebbe nelle mani degli elettori. Mi dispiace (anche per la mia personale popolarità), ma questa è proprio una bufala».

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La soluzione più razionale si otterrebbe se, invece di dimezzare il numero dei parlamentari di Camera e Senato, si dimezzasse il numero delle camere. Con una riforma costituzionale che istituisse un’unica Assemblea Nazionale di 500 deputati.
Ci sarebbero i numeri per costituire le Commissioni parlamentari e si avrebbe un iter più veloce nella formazione delle leggi.
Non c’è bisogno di introdurre questa riforma nella manovra.
Il Governo annunci che sarà fatta e, almeno per qualche giorno, vedremo scendere il maledetto “spread”.

La Repubblica (è) una e indivisibile (Art.5). Non ha senso un popolo che elegge la Camera, ed il “suo doppio” che elegge il Senato, magari con due maggioranze diverse.

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domenica 4 settembre 2011

L'immondizia ed il debito sovrano

Ha scritto, oggi, nel suo editoriale Eugenio Scalfari: «Forse conviene cominciare proprio da questo punto, cioè dal cortile di casa nostra che si è da tempo trasformato in una discarica d’immondizia i cui rifiuti si accumulano senza la minima prospettiva che possano sparire.»
Si può convenire. Non era difficile prevederlo. Una delle cause maggiori è stata, a mio parere, l’introduzione del cosiddetto “bipolarismo all’italiana” –con i partiti a vocazione maggioritaria- che m’indusse, già nel gennaio del 2008, a rappresentare con quest’immagine:


ed a commentare: «Beati coloro che credono che con la raccolta bi-differenziata si risolveranno tutti i problemi che affliggono il nostro Paese.»

Naturalmente quella del Fondatore è una seria analisi della situazione, mentre la mia è soltanto l'inutile e scontata antipolitica di un poveretto.

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Scalfari illustra tre elementi che alimentano la sfiducia dei mercati nel debito sovrano italiano.
Primo. La contrazione economica americana e l’evidente declino politico del presidente Obama.
Secondo. La contrazione economica europea e l’inesistenza di un vero governo dell’Unione.
Terzo. La non credibilità del governo, del premier, di Tremonti e di Bossi. Per quest’ultima ragione tira per la giacchetta il presidente Napolitano chiedendo: «se la tempesta infuriasse non come Irene ma come Katrina, che cosa accadrà?».
Non sappiamo quale peso abbia dato Scalfari a ciascuno dei tre elementi. Lascia intendere, però, che con il licenziamento di Berlusconi da parte del Capo dello stato, i mercati non avrebbero più il coraggio d’attaccare il nostro debito. Magari fosse vero.  


 

Il punto di vista, magari irrilevante e sbagliato, di un cittadino qualunque, confidente nella libertà, detentore saltuario della sovranità, indotto a cederla, nell’occasione, a rappresentanti per niente fidati.

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